Il disturbo può essere inteso come un arresto del processo di elaborazione che una persona fa su di sé e gli altri, come una sospensione dell’esperienza; una sospensione che è il risultato della scelta da parte della persona di non cambiare rispetto ad aspetti centrali della sua costruzione di sé e del mondo.
Il disturbo può essere anche considerato come il risultato della scelta che la persona fa di non verificare la validità di alcune sue interpretazioni particolarmente centrali della sua comprensione di sé e del mondo.
Questa scelta di non verificare la validità di alcune interpretazioni ed ipotesi sul mondo, scongiura la possibilità di mettere a repentaglio il proprio modo di dare senso al mondo e alla propria vita, quel modo che fino a poco tempo fa aveva senso.
Di conseguenza, il disturbo comporta un arresto del movimento nell’area problematica.
Il sintomo (dal greco “evenienza, circostanza”; a sua volta “cadere con, cadere assieme”) indica un’alterazione, riferita dalla persona, della “normale” sensazione di sé, del proprio corpo e del proprio vissuto in relazione ad uno stato “patologico”; può essere definito l’espressione del disturbo.
Come ogni persona è unica e irripetibile, così, ogni disturbo ed ogni sintomo sono strettamente personali ed unici nella propria definizione e nella propria manifestazione.
Entrambi rappresentano la miglior strada che la persona ha trovato, fino ad oggi, per esplorare se stesso e costruire relazioni nel mondo.
Difficilmente una persona potrà abbandonare questa strada, il disturbo, senza aver costruito alternative.
Il movimento della persona è permesso dalle sue previsioni rispetto a se stessa e al mondo. Quando queste previsioni vengono ricorrentemente smentite negli incontri con gli altri e la persona non dispone di alternative, il movimento si blocca.
“Il disturbo – e i sintomi che lo accompagnano – vengono considerati l’espressione (la migliore possibile) del tentativo da parte della persona di mantenere un adattamento con l’ambiente e un’organizzazione di significato.
Per questo motivo lo psicoterapeuta costruttivista non cercherà di aiutare il paziente a liberarsi dai sintomi, ma lo accompagnerà in un percorso volto alla ricerca di modalità alternative di organizzazione dell’esperienza, tali da permettere la ripresa di un movimento” (Chiari, 2016).
Rivolgersi ad uno psicologo è una scelta strettamente personale.
Si tratta di una decisione che una persona prende sulla base della propria sofferenza.
Fondamentalmente quando ritiene di aver tentato di trovare da sé le vie di uscita dal proprio malessere, problema, difficoltà, senza successo; si ritrova ciononostante con la sensazione di essere “incastrata” nella propria condizione.
Una persona può aver bisogno di uno psicologo quando:
Possiamo avventurarci insieme in un viaggio alla scoperta di nuovi significati e nuove possibilità, cercando di comprendere e creare alternative di fronte ad una difficoltà psicologica.
Possiamo camminare insieme alla ricerca di scelte più consapevoli e di modalità più soddisfacenti di vedere se stessi e di vedersi in relazione con gli altri.
Attraverso una nuove elaborazioni possiamo riprendere un movimento verso una direzione più soddisfacente e appagante.
Vuoi cambiare direzione?
Sono la Dottoressa Anita Martellacci e ricevo presso lo studio medico specialistico a Castiglioncello.